Sovrappeso e obesità in età evolutiva: cosa fare?
L’alimentazione è la più elementare e al tempo stesso la più complessa manifestazione della vita umana, permeata di significati nutrizionali, comportamentali, culturali, religiosi, sociali, economici; è oltremodo variegata di tradizioni, credenze, simbolismi, condizionata dai mutamenti secolari della storia dell’umanità ed essa stessa spesso artefice di tali mutamenti.
Studi compiuti su varie popolazioni hanno mostrato che nell’ultimo secolo si è assistito, nei paesi sviluppati, a un rapido e progressivo aumento della statura media della popolazione; di seguito si è osservato un incremento esponenziale della prevalenza dei soggetti sovrappeso e obesi e un trend di anticipazione dell’età della pubertà. Ora, purtroppo, si rileva una riduzione dell’età media, sempre grazie a un “mal apporto” alimentare.
La rapidità e l’entità di tali fenomeni rende palese l’influenza di fattori ambientali (apporti di energia e nutrienti, dispendio energetico). Il fenomeno è particolarmente importante nei primi periodi della vita in quanto essi sembrano avere non solo effetti immediati sull’accrescimento del bambino ma anche sul “programming” endocrino-metabolico dell’individuo, condizionandolo quindi per tutta la vita.
Mala tempora currunt: proprio per questo il Pediatra è chiamato a intervenire in prima persona. In particolare, il Pediatra di base del SSN trascorre con il bambino e la sua famiglia 5840 giorni (0-16 anni) e rappresenta il primo e spesso l’unico “nutrizionista” del nucleo familiare. Il suo sforzo deve quindi tendere a diffondere buoni principi alimentari.
Attualmente in Italia, 4 bambini su 10 in età scolare sono sovrappeso o obesi, con un andamento progressivamente crescente dal nord al sud Italia. Gli alimenti tipici della dieta mediterranea, quali olio di oliva, frutta e verdura, vengono consumati in misura maggiore al nord, mentre il pesce è presente, anche se in quantità insufficiente, nel sud Italia. Risulta comunque eccessivo il consumo di carni rosse. Altra problematica nutrizionale comune all’età pediatrica è la scarsa assunzione di latte (in media 100 ml/giorno). Di conseguenza, l’introito medio di calcio e vitamina D risulta inferiore a quanto consigliato in tutte le età evolutive.
La persistenza dell’obesità in età adulta comporta numerose complicanze a carico di diversi organi e apparati.
Quale bambino sarà obeso?
Il 70-80% dei figli di entrambi i genitori obesi saranno, a loro volta, obesi in età pediatrica. Tale percentuale scende al 30-40% se uno solo dei genitori è obeso.
Quanti bambini rimarranno obesi dopo la pubertà?
La probabilità di essere sovrappeso od obeso in età adulta aumenta in relazione all’età di insorgenza dell’incremento ponderale: 30% a 5 anni, circa 35% a 10 anni, 50% a 15 anni e 70% a 18 anni. È quindi indispensabile un’attenta sorveglianza staturo-ponderale e delle abitudini alimentari durante tutta l’epoca evolutiva.
Come definire l’obesità?
Per obesità si intende un accumulo eccessivo e generalizzato di grasso nel tessuto sottocutaneo, ma anche negli altri tessuti e può essere associato ad alterazione di parametri metabolici, con conseguenze sullo stato di salute fisico e psicologico, presente e futuro.
Come valutare il sovrappeso e l’obesità?
Nella pratica clinica il concetto di sovrappeso e/o obesità può essere ottenuto attraverso il semplice calcolo dell’Indice di Massa Corporea (IMC) o Body Mass Index (BMI), ottenuto dal rapporto tra il peso in kg e la statura in metri al quadrato:
IMC o BMI = kg/m2
Nell’adulto i valori superiori a 25 e 30 kg/m2 esprimono rispettivamente la situazione di sovrappeso ed obesità.
Il valore del BMI dimostra una sufficiente correlazione con il grasso corporeo e risulta pressochè indipendente dall’altezza e correla bene con il peso. La correlazione del BMI con il contenuto di grasso corporeo è buona (variando da 0,6 a 0,8 secondo l’età). L’errore della predizione della percentuale corporea di grasso (3-5%) è simile a quella osservata con la misura delle pliche cutanee o dell’impedenza corporea.
Anche in età pediatrica il calcolo del BMI può essere un indice semplice e affidabile di adiposità. Un ulteriore parametro quantitativo dell’entità dell’eccesso ponderale, è rappresentato dalla deviazione percentuale del peso corretto per la statura. Tale calcolo, frequentemente impiegato in ambito pediatrico, si esegue sulle tavole dei centili del peso e della statura (http://www.cdc.gov/growthcharts), così da definire le seguenti classi di peso:
- 90-110% normopeso
- 111-120% sovrappeso
- 120% obesità
- 150% obesità di grado elevato o “superobesi”.
Obesità: quali i periodi a rischio
Sono almeno 3 periodi a rischio per obesità: primo anno di vita, tra i 4 ed i 6 anni, il periodo puberale. Tre sono anche i periodi di iperplasia degli adipociti. Il tessuto adiposo può aumentare per iperplasia o per ipertrofia oppure per entrambi i fattori. La prima intensa moltiplicazione cellulare si verifica negli ultimi mesi di vita intrauterina, cosicché alla nascita il neonato possiede circa 5 miliardi di adipociti (10-15% della massa corporea totale). Il neonato con peso elevato per l’età gestazionale è più a rischio di obesità e diabete nelle età successive. Comunque il primo periodo a rischio per obesità è il primo anno di vita, durante il quale il numero degli adipociti resta stabile, mentre ne aumenta il volume; cosicché la percentuale di tessuto adiposo sale al 25-30% della massa corporea totale alla fine del primo anno. L’accrescimento volumetrico è tale che a quest’età le dimensioni degli adipociti raggiungono già i valori dell’adulto. In questa epoca della vita sono da evitare eccessivi apporti in proteine e carboidrati rispetto ai reali fabbisogni.
Dai due anni fino alla pubertà
Dai due anni fino alla pubertà (secondo periodo di iperplasia), il tessuto adiposo si espande progressivamente per un lento aumento numerico degli adipociti (fino a 15 miliardi in età prepuberale). In particolare, tra 4 e 6 anni (secondo periodo a rischio per obesità), l’alimentazione errata (in particolare l’eccessivo intake proteico), la sedentarietà e l’influenza dell’ambiente, possono portare ad una anticipazione dell’adiposity rebound, che di solito avviene a 6 anni. Questo sembra associato all’insorgenza di obesità nelle età successive. Se nel breve periodo, l’eccessivo apporto di proteine animali comporta un sovraccarico renale, a lungo termine si hanno elevati livelli ematici di IGF-1, iperplasia del tessuto adiposo e aumento della differenziazione dei preadipociti in adipociti. Il periodo puberale coincide con il terzo periodo di iperplasia ed il terzo periodo a rischio per obesità: gli adipociti raggiungono il numero totale fra 20 e 40 miliardi.
L’obesità del bambino è caratterizzata certamente da un’ipertrofia cellulare, ma soprattutto da un aumento delle cellule: nel soggetto obeso post-pubere il numero medio delle cellule adipose supera i 70 miliardi.
Il periodo fetale, i primi due anni di vita e l’adolescenza sono dunque i periodi maggiormente a rischio per lo sviluppo di un’eventuale futura obesità, in quanto una volta verificatasi l’iperplasia, non è poi possibile sopprimere lo “stimolo della fame” prodotto da tali cellule.
In conclusione, le cellule adipose sono immortali o meglio muoiono, ma subito vengono rimpiazzate da altre dello stesso tipo (10% ogni anno). La differenza del numero di cellule di grasso tra le persone obese e magre si stabilisce durante l’infanzia e rimane tale per tutta la vita!
Esistono più forme di obesità?
Esistono due tipi fondamentali di obesità infantile: un’obesità secondaria (5% dei casi) a cause organiche ben identificabili che possono essere di natura endocrina, genetico-malformativa, iatrogena, neurologica, neoplastica. L’obesità può anche rappresentare la manifestazione più evidente di una malattia organica di base quali l’ipersecrezione di cortisolo, ipotiroidismo, iperinsulismo, alterazioni diencefaliche
L’obesità secondaria si associa sempre a ritardo di crescita e ipostaturalità, a ritardo mentale nelle forme genetico-malformative e ad altri sintomi specifici secondo l’eziologia.
Un’obesità non attribuibile a cause patologiche (95% dei casi) è detta primitiva o essenziale e si associa a statura media o elevata, accelerata maturazione ossea e sessuale e ad uno sviluppo psichico regolare.
Il bambino obeso: esame obiettivo e iter diagnostico
L’esame obiettivo del bambino sovrappeso/obeso deve indagare circa la familiarità per obesità, dislipidemie, diabete, malattie cardiovascolari. Inoltre deve essere considerata l’età e le modalità di insorgenza di tale patologia, ricostruire una curva di crescita staturo-ponderale, indagare circa le abitudini alimentari, eventuale storia mestruale, livello socio-economico della famiglia, valutazione di problematiche psicologiche-relazionali in ambito familiare e/o scolastico.
Deve essere ovviamente rilevato peso e statura, ma anche pressione arteriosa, stadio puberale, presenza di irsutimo o altri segni di iperattività androgenica, volume testicolare, sviluppo psichico, la presenza o meno di dismorfismi facciali e anomalie delle mani e dei piedi. Per una valutazione più approfondita possono essere impiegate metodiche non invasive, quali plicometria cutanea, impedenziometria e studio delle circonferenze corporee. Alcune indagini ematochimiche e strumentali devono essere richieste in presenza di obesità essenziale, mentre nel sospetto di obesità secondaria possono essere aggiunte altre indagini.
Quale dieta in età evolutiva?
Una corretta alimentazione, valida anche per l’età infantile, prevede che il 12-15% delle calorie sia fornito dalle proteine, il 25-30% circa dai lipidi e il 55-60% circa dai carboidrati. La percentuale dei lipidi dovrebbe essere suddivisa in: 10% acidi grassi saturi, 7-8% polinsaturi e 12-13% monoinsaturi. L’apporto di colesterolo non deve superare i 100 mg/1000 kcal.
Il calo ponderale deve risultare lento ma progressivo e la dieta deve essere ipocalorica bilanciata in termini di macronutrienti (proteine, carboidrati, lipidi) e contenere in quantità adeguata minerali e vitamine. In genere è consigliato ridurre del 30% gli apporti calorici calcolati per l’età e sesso.
La distribuzione dei pasti deve avvenire in 5 appuntamenti con il cibo, così suddivisi: 15% di calorie a colazione, due piccoli snacks che apportino un 10 % di energia, 40% a pranzo, 35 % a cena. Comunque il tipo di trattamento dipenderà dal grado di obesità, dall’età, dalla presenza di complicanze, dalla volontà del bambino e della famiglia di cambiare.
Incentivazione dell’attività fisica
La terapia dell’obesità infantile deve tenere conto di una complessa serie di fattori che interagiscono gli uni con gli altri. I bambini di oggi consumano approssimativamente circa 600 kcal al giorno in meno dei loro coetanei di 50 anni fa. Recenti linee guida suggeriscono che i bambini dovrebbero praticare 60 minuti di moderata-intensa attività fisica ogni giorno, integrata da attività regolari che migliorino la forza e la flessibilità. Comunque l’attività fisica per i bambini piccoli deve essere di intrattenimento e divertente. È quindi fondamentale incentivare sempre una moderata attività fisica: il camminare o andare in bicicletta offrono sostanziali benefici per la salute.
È dimostrato che uno stile di vita sedentario nell’infanzia favorisce lo sviluppo di malattie cardiovascolari, diabete e obesità in età adulta. Negli anni novanta del XX secolo, il diabete mellito di tipo 2 veniva diagnosticato solo nell’1-2% dei giovani; dal 1994 rappresenta più del 16% dei nuovi casi di diabete infantile. Comunque un valore di glicemia nel bambino superiore a 100 mg/dl deve essere considerato anormale e meritevole di approfondimento diagnostico.
Altra funzione del Pediatra: responsabilizzare i genitori
Per molti secoli il compito principale dei genitori è stato quello di assicurare ogni giorno il cibo ai propri figli. Negli ultimi decenni, nei Paesi ritenuti più industrializzati, il panorama è totalmente cambiato. L’offerta alimentare è aumentata in maniera impressionante e si è passati a un’alimentazione eccessiva e spesso monotona: un bambino sovrappeso è un problema complesso per se stesso, per la sua famiglia e per la società.
In ogni famiglia c’è spesso un settore della vita del figlio a cui dedicare particolare attenzione: scuola, amici, sport; in questo senso anche l’alimentazione costituisce un classico “terreno di battaglia”. D’altra parte attraverso il comportamento alimentare i genitori hanno l’opportunità di capire il proprio bambino. Il consiglio è allora quello di non fuggire dal problema ma di raccogliere la sfida che può costituire un’occasione unica di maturazione e di crescita per la famiglia nel suo complesso. Spesso si mangia più del necessario per ansia, tristezza o noia. La soluzione? Non solo ridurre la quantità degli alimenti ma anche cercare i motivi della sofferenza che causa l’iperalimentazione. Importante è ricostruire l’autostima dell’individuo.
“Mio figlio non mangia niente!” Ancora oggi il cibo è considerato simbolo di sicurezza e serenità. Spesso uno o entrambi i genitori sono convinti di essere più validi se riescono a “ipernutrire” il proprio figlio. Il bambino può allora avere due comportamenti: assecondare i genitori, diventando così sovrappeso o, al contrario, mangiare sempre meno.
Una volta seduti a tavola sarebbero da evitare frasi come quelli riportate in figura 1.
Complessivamente esprimono in maniera autoritaria un solo concetto: “in te c’è qualcosa di negativo!” Il risultato è scontato: il bambino non collabora più alla sua alimentazione e tende a rifiutare gli alimenti proposti.
Attenzione. Il gusto può essere educato, anche in maniera negativa: negli ultimi decenni, ad esempio, è aumentato il consumo di fruttosio (dolcificante a basso costo derivato dal mais) e, di pari passo, il tasso di obesità. Attualmente i nostri bambini fin dai primi mesi di vita sono “addomesticati” al gusto dolce che ricercano poi, negli anni successivi, negli alimenti, a costo calorico eccessivo. In questo senso bibite dolci e gassate non aiutano certo a controllare il peso corporeo.
Le problematiche alimentari non risolte in età scolare si ripercuotono, inevitabilmente, in età puberale. L’indagine, che la Società Italiana di Pediatria effettua ormai da diversi anni su un campione nazionale di studenti di età compresa tra i 12 e i 14 anni mostra un rapporto non incoraggiante: largo impiego dei fuoripasto e alimentazione poco variata. 1 ragazzo su 3 dichiara di mangiare quotidianamente, al di fuori di pranzo e cena, biscotti, panini, cioccolata, caramelle, gelati, patatine e merendine. L’altro problema nutrizionale deriva dalla dieta poco variata: il 15% degli intervistati ha dichiarato di mangiare “sempre le stesse cose” e il 41% di mangiare “solo le cose che piacciono”. I comportamenti alimentari, inoltre, peggiorano con l’aumentare delle ore trascorse davanti alla televisione o ad un PC.
È quindi necessario impostare, fin dai primi anni di vita del bambino, un programma educativo!
Frutta e verdura andrebbero assunte in quantità adeguata (per intenderci un volume pari 5 “pugni” del bambino al giorno) e l’impiego del sale andrebbe ridotto, anche mediante l’impiego delle spezie che possono essere usate per insaporire gli alimenti. Educare la nostra alimentazione è quindi possibile ma è necessario una pur minima attenzione, evitando di mangiare “come capita” e soprattutto, perché impossible is nothing!
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